Era una sera d’estate a Genova, l’aria profumava di basilico e mare. Lo chef prese un mazzetto di foglie verdi appena raccolte, le lavò con cura e le mise nel mortaio con pinoli tostati, aglio, sale grosso e un filo d’olio d’oliva. Pestò piano, con pazienza, fino a creare una crema vellutata. Poi aggiunse parmigiano e pecorino, un ultimo giro d’olio, e il profumo esplose nella cucina.

Intanto la pasta — trofie, naturalmente — cuoceva al dente. Scolata, venne tuffata nel pesto, con un mestolo d’acqua di cottura per legare tutto in un abbraccio verde brillante.

Un assaggio, un sorriso: semplice, sincera, perfetta. La vera pasta al pesto non si cucina, si racconta.

Era una sera d’estate a Genova. L’aria profumava di basilico e mare. Lo chef prese un mazzetto di foglie verdi appena raccolte, le lavò con cura e le mise nel mortaio con pinoliti sale grosso e un filo d’olio d’oliva. Con pazienza fino a creare una crema. Poi aggiunse parmigiano e pecorino. Un ultimo giro d’olio e il profumo esplose nella cucina. Trofie, naturalmente scolata venne tuffata nel pesto con un mestolo d’acqua di cottura per legare tutto in una braccia verde brillante. Un sorriso semplice, perfetta. La vera pasta al pesto non si cucina, si racconta.

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